International meeting report di Marco Soligo (*) Rodolfo Milani (**)
Leggi in formato Pdf [743kb]

Il colpocele posteriore: Che fare?
Nuovi concetti di fisiopatologia per un vecchio problema ( 1 )


INTRODUZIONE

Le problematiche anatomiche e funzionali legate al colpocele posteriore ed al suo trattamento rimangono di grande attualità in pelvi-perineologia ed evidenziano la necessità di un dialogo interdisciplinare tra ginecologi, urologi e chirurghi colo-rettali sollevando molti interrogativi sulle risposte offerte a quesiti vecchi e nuovi. Tutto ciò rispecchia in modo fedele lo stato d’animo in cui si trova chi oggi tenta di affrontare, con onestà intellettuale, questi temi.

ANATOMIA FUNZIONALE DEL SUPPORTO PELVICO POSTERIORE (J.O.L. DeLancey)

I confini del comparto posteriore sono oggi ben definiti dagli studi anatomici associati all’utilizzo della RMN: gli sfinteri anali ed il corpo perineale ne rappresentano il fondo, il muscolo elevatore dell’ano delimita le pareti posteriore e laterali, la parete vaginale posteriore chiude questa “scatola” anteriormente. L’integrità anatomica di tali strutture consente il bilanciamento dei vettori di forza che le pressioni addominali determinano sul pavimento pelvico. Per ogni struttura DeLancey documenta possibili difetti singoli e/o combinati, responsabili della formazione del rettocele. La possibilità, sempre più concreta, di identificare con metodiche di imaging il tipo esatto di difetto anatomico consente di stratificare in modo più razionale i diversi tipi di trattamento valutandone poi i risultati. In futuro, quindi, la diagnostica strumentale dovrebbe acquisire un ruolo discriminante nella pratica clinica indirizzando il tipo più opportuno di soluzione chirurgica.

FISIOLOGIA DEL BASSO TRATTO DIGESTIVO (P. De Nardi, F. Gabrielli, D.F. Altomare, M. Soligo, R. Milani)

Le premesse di anatomo-fisiopatologia necessarie alla comprensione delle alterazioni funzionali intestinali correlate al colpocele posteriore consentono di apprezzare significative analogie tra gli aspetti funzionali dell’apparato urinario ed intestinale, rimarcandone al tempo stesso le differenze con particolare riferimento alla capacità di discernere il contenuto solido da quello liquido o aereo. Nell’analisi delle analogie e differenze tra sistemi emerge l’interesse per la “doppia incontinenza”: semplice somma di due disfunzioni oppure alterazione specifica di un sistema comune di controllo della continenza? Alcuni dati della letteratura parrebbero spingere in quest’ultima direzione, proponendo come eziopatogenesi, almeno per alcuni casi, un’alterazione della motilità della muscolatura liscia viscerale che associa l’incontinenza anale da urgenza alla iperattività detrusoriale. La carenza di lavori sul ruolo di eventuali trattamenti farmacologici in questo settore suggerisce la necessità di ulteriori approfondimenti.

COLPOCELE POSTERIORE E RETTOCELE: SOLO UNA QUESTIONE SEMANTICA? (M. Soligo)

Gli aspetti terminologici ci vedono quotidianamente coinvolti in una torre di Babele multidisciplinare. Lo stesso termine può assumere significati diversi a seconda dello specialista che li utilizza. Come dialogare in queste condizioni, e soprattutto come costruire un’evidenza scientifica laddove neppure la terminologia sia condivisa? È quanto mai auspicabile ed urgente un dibattito internazio-nale e multidisciplinare sulla standardizzazione della terminologia del pavimento pelvico, in particolare nel compartimento posteriore.


INCONTINENZA ANALE E STIPSI: CLASSIFICAZIONI E STRUMENTI CLINICI DI VALUTAZIONE ANAMNESTICA (A. Emmanuel)

La stipsi è una condizione molto frequente: circa il 10% della popolazione generale può esserne affetta e solitamente si tratta di un problema cronico. Considerata quindi la frequenza del sintomo nella popolazione, il medico deve chiedersi cosa ha spinto quella persona a cercare una soluzione, dedicando tempo durante la prima visita e guidando la raccolta anamnestica sulla base dell’ipotesi eziopatogenetica per limitare le indagini strumentali a quelle realmente rilevanti sul piano clinico. Nella stipsi inoltre l’aspetto psicologico va attentamente indagato.

Talvolta semplicemente spiegare al paziente cosa avviene nel suo intestino rappresenta una prima istanza terapeutica efficace. Gli strumenti classificativi a tutti noti, come i criteri di Roma, sono di utilità in ambito di ricerca scientifica o per la conduzione di trials clinici. Nella pratica clinica invece grande peso ha la distinzione tra la condizione di rallentato transito intestinale e la defecazione ostruita, situazioni che possono presentarsi anche in associazione. Va quindi valorizzato il dato anamnestico chiedendo al paziente con che frequenza avverte lo stimolo ad evacuare. L’informazione ottenuta con questa semplice domanda trova una stretta correlazione con lo studio radiologico dei tempi di transito. Per l’incontinenza anale si deve distinguere tra incontinenza di tipo passivo (legata prevalentemente ad una disfunzione dello sfintere anale interno) e da urgenza (legata ad alterazioni della motilità e/o compliance rettale, alle caratteristiche del bolo fecale o a lesioni dello sfintere anale esterno). La svolta fondamentale è costituita dall’applicazione allo studio della morfologia degli sfinteri dell’ecografia endoanale e l’affinamento degli studi funzionali della fisiologia ano-rettale, ribadendo tuttavia l’importanza di considerare l’insieme delle informazioni ottenute grazie all’anamnesi, all’ipotesi etiopatogenetica e ai dati strumentali.

VALUTAZIONE CLINICA DEL COLPOCELE POSTERIORE (A. Digesù, G. Dodi, C. Bottini, S. Passaretti, M. Salvetti, De Nardi, G. Sarnelli)

Partendo dall’analisi di ogni singola metodica e della sua utilità clinica nella diagnostica del colpocele posteriore, la discussione si concentra sugli aspetti meno codificati, in particolare sull’ecografia transperineale, esame di grande duttilità per la quale però manca a tutt’oggi una reale evidenza di applicabilità in termini di riproducibilità, ma soprattutto di ricadute di tipo clinico, al di là di singoli casi particolari.

INCONTINENZA ANALE: TRATTAMENTI CONSERVATIVI E MININVASIVI (W. Graf)

Le opzioni terapeutiche conservative e mininvasive spaziano dai trattamenti comportamentali-dietetici, all’impiego di farmaci sistemici, come la loperamide, o topici (fenilefedrina), a vari schemi di riabilitazione del pavimento pelvico con utilizzo di metodiche di bio-feedback e stimolazione elettrica funzionale. Le terapie minimamente invasive sono rappresentate da metodiche che attraverso un’espansione volumetrica delle pareti o per una retrazione cicatriziale delle stesse, determinano un restringimento del lume intestinale al livello della giunzione ano-rettale. Sono disponibili diverse metodiche in questo senso, dall’impiego della radiofrequenza (SECCA®), di cui si attende la pubblicazione dei risultati di uno studio multicentrico randomizzato, all’impiego degli agenti volumizzanti. Tra questi ultimi i dati di letteratura più consistenti riguardano l’utilizzo di una soluzione di elastomero di silicone (PTP implants™) che viene iniettato in sede intersfinterica. In uno studio pubblicato nel 2004 su Dis Colon Rectum viene confrontata la somministrazione a mano libera contro quella effettuata sotto guida ecografica dimostrando una superiorità di efficacia di quest’ultima metodica (69% vs 40%; p < 0.01).

La ricerca di materiali sempre più biocompatibili ha prodotto il NASHA/Dx (Zuidex™), materiale costituito da una miscela di acido ialuronico stabilizzato di derivazione non animale come veicolante e destranomero. Tale materiale, correntemente utilizzato per il trattamento dell’incontinenza urinaria da sforzo femminile e per il reflusso vescico-ureterale nel bambino, viene somministrato a livello sottomucoso 4-5 mm sopra la linea dentata, al dosaggio di 1 ml in ogni quadrante. In un gruppo di pazienti con almeno un episodio la settimana di incontinenza anale a feci solide o liquide trattati una seconda volta nel 50% dei casi mediamente ad un mese di distanza e seguiti per 2 anni, si è osservata una crescente efficacia con il passare del tempo, andando da una risposta positiva (dimezzamento degli episodi di incontinenza) del 50% dopo 3 e 6 mesi al 73% dopo un anno. Infine, sempre nell’ambito delle metodiche mininvasive, la Neuromodulazione Sacrale si sta dimostrando efficace anche in ambito colo-rettale in pazienti selezionati.

LA CHIRURGIA DEL COLPOCELE POSTERIORE: DALLE ORIGINI AGLI SVILUPPI ATTUALI (M. Karram)

Sulla base delle ricerche anatomiche sul cadavere non c’è evidenza di una struttura fasciale distinta tra parete vaginale posteriore e parete rettale anteriore. Quella che comunemente viene definita fascia e utilizzata nelle riparazioni posteriori è in realtà uno sdoppiamento della parete vaginale posteriore in avventizia e strati fibromuscolari. Nel terzo inferiore le pareti vaginale posteriore e rettale anteriore sono strettamente connesse da questo tessuto che, salendo in direzione craniale, si arricchisce progressivamente sempre più di una componente adiposa lassa. Di fatto il tessuto fasciale che viene utilizzato nelle ricostruzioni posteriori è lo strato connettivale che viene ricavato nella dissezione del terzo inferiore. Solo un’accurata dissezione e mobilizzazione del retto consente perciò di ottenere un tessuto adeguato per ricoprire l’area di debolezza posteriore sino al fornice. La necessità di realizzare una dissezione completa della parete posteriore sino al fornice per trattare anche l’enterocele, ove presente, così da realizzare un aggancio fasciale anche craniale, rimane comunque un’ indicazione controversa.

Nella riparazione chirurgica proposta dall’autore gli obiettivi comprendono la realizzazione di un supporto durevole sulla parete vaginale posteriore dalla forchetta vaginale al fornice posteriore sino a coprirla lasciando almeno 8-9 cm liberi di vagina; ciò si accompagna alla correzione dell’enterocele, alla ricostruzione del perineo, dello sfintere anale esterno e alla restrizione del calibro vaginale lasciando uno spazio che consenta il passaggio di almeno 2 dita. Su tali basi il successo della ricostruzione chirurgica si fonda sul rispetto del fisiologico asse vaginale, che deve essere solo minimamente distorto e puntare alla concavità sacrale. Risulta quindi fondamentale la scelta del tipo di sospensione dell’apice vaginale. L’eccessivo restringimento della vagina va evitato per non dare dispareunia. Da tali presupposti si evince come la plicatura mediana degli elevatori nel terzo medio e craniale sia scorretta. In certi casi è invece necessaria una plicatura bassa degli elevatori, con un ricorso alla perineorrafia. La riparazione specifica dei difetti fasciali richiede una notevole mobilizzazione dei tessuti. L’impiego di materiale protesico va riservato ai casi in cui non esista tessuto autologo sufficiente ad una riparazione. Nelle pazienti anziane e sessualmente inattive è possibile procedere a riparazioni più strette.

Tali aspetti rappresentano oggi la vera sfida in questo tipo di chirurgia. Il ginecologo ottiene infatti buoni risultati sui sintomi più squisitamente legati al prolasso mentre si trova in difficoltà ad affrontare la problematica dell’insoddisfacente defecazione. Tutta la letteratura conferma che non vi è correlazione tra la dimensione del difetto anatomico vaginale ed il sintomo defecatorio. Il problema clinico di maggiore difficoltà è posto dai casi in cui una severa difficoltà evacuativa si associ ad un piccolo colpocele posteriore. È soprattutto in questi casi che un completo work-up colo-rettale si impone. Restano comunque moltissimi aspetti da chiarire ed il confronto con i chirurghi colo-rettali è oggi il vero punto di svolta necessario.

LA CHIRURGIA DEL COLPOCELE POSTERIORE: LE DIVERSE TECNICHE (M. Colombo, L. Cardozo, J. Balmforth, M. Cervigni, M. Karram, R. Milani)

Vanno prese in considerazione le tecniche più significative: la colpoperineorrafia con duplicatura mediana della fascia, la correzione transvaginale secondo il King’s College Hospital, la miorrafia degli elevatori, la correzione mediante riparazione sito-specifica dei difetti fasciali e la ricostruzione del setto retto-vaginale con e senza mesh.
Dagli approcci più tradizionali, come la colpoperineoplastica con le relative varianti, a quelli più recenti come la chirurgia fasciale, l’elemento critico nelle modalità di riparazione vaginale del colpocele posteriore è l’esistenza di una struttura fasciale che separa il retto dalla vagina. Esiste una zona di maggiore lassità nel tratto più craniale della parete vaginale posteriore che presenta una maggior consistenza nel tratto medio-caudale. Quest’ultima porzione viene coinvolta nella riparazione con modalità diversa a seconda della tecnica prescelta. Da questi confronti riemerge lo scetticismo sulla necessità, nella pratica clinica, di effettuare indagini funzionali colo-rettali nei casi quando sia evidente la componente vaginale del disturbo in presenza di insoddisfacente evacuazione. Lo studio completo dovrebbe quindi essere riservato ai casi in cui l’alterata funzione defecatoria sia presente in associazione ad un minimo difetto anatomico vaginale.

COLPOSACROPESSIA PER PROLASSO DI CUPOLA CON ENTERO-RETTOCELE LAPAROTOMICA E LAPAROSCOPICA (M. Porena, E. Costantini, C. Tricolore)

Il confronto tra la tecnica laparoscopica e laparotomica per la correzione dei difetti del segmento centrale mette in evidenza la necessità di evitare la tensione sulla vagina durante la fase ricostruttiva senza eseguire suture troppo serrate che possano ischemizzare i tessuti. L’erosione del materiale protesico in vagina vede infatti l’insulto ischemico come fattore primario. Tale circostanza, accanto ad una maggiore probabilità di contaminazione, rende ragione del maggior tasso di erosione osservato qualora la colposospensione venga effettuata in associazione ad un’isterectomia. Va posto l’accento sulla necessaria cautela nel ridurre al minimo gli scollamenti del tessuto pararettale per evitare il danno neurologico viscerale con conseguente difficoltà all’evacuazione. Seppur in modo non univoco, appare razionale associare alla colposacropessi una sospensione secondo Burch nei casi di incontinenza urinaria qualora si proceda a cielo aperto. Nell’approccio laparoscopico appare invece condivisibile l’associazione di una sling sottouretrale.

CORREZIONE ENDOANALE DEL RETTOCELE CON TECNICHE TRADIZIONALI E MEDIANTE STARR (D.F. Altomare, M. Venturi)

La Delorme interna, come tutte le tecniche transanali, riproduce un medesimo obiettivo chirurgico: l’asportazione di una porzione di mucosa rettale e il rinforzo della muscolare interna mediante plicatura, per poi chiudere con una sutura muco-mucosa.
In una casistica di 362 interventi selezionati in una popolazione di 4800 soggetti (7,5%, Venturi), è riferita con la tecnica STARR una efficacia del 90% a 22 mesi con 5% di complicanze e il 40% di urgenza defecatoria transitoria. Altre pubblicazioni evidenziano un alto tasso di complicanze, anche gravi, osservate con questa tecnica: si tratta di una chirurgia tutt’altro che semplice, sia nella scelta delle indicazioni che nella realizzazione tecnica e ciò spiega la discrepanza tra i dati riportati da diversi centri. La chirurgia classica endoanale ottiene, secondo la letteratura, un successo che oscilla tra il 73 ed il 95%, con una caduta di efficacia nel tempo del 60% circa. Da questo dato occorre partire per cercare soluzioni alternative. Fintanto che le nuove tecnologie non portano risultati superiori, la loro diffusione non è etica. Si auspica la realizzazione di uno studio randomizzato tra STARR e tecniche classiche. Partendo dal concetto che in ogni caso si tratta di una chirurgia “delicata”, quali sforzi vengono fatti per evitarla ed ottenere un successo terapeutico con modalità meno invasive? È fondamentale promuovere un trattamento conservativo-riabilitativo attraverso il collo-quio col paziente dato che nella stipsi gli aspetti psicologici giocano un ruolo così determinante da rendere necessaria un alleanza terapeutica col paziente stesso.

TRATTAMENTO COMBINATO VAGINALE E TRANSANALE: PRO E CONTRO (C. Beati)

La letteratura riguardante la problematica assai controversa dell’associazione, in un’unica seduta, dei tempi chirurgici transanale e vaginale per la correzione del rettocele è scarsa e di poco aiuto. In uno studio su 39 pazienti all’Ospedale San Carlo di Milano (tra il 2000 e il 2005) sottoposte ad colporrafia posteriore tradizionale associata a diverse procedure transanali, sul piano funzionale, dopo media di 2 anni, viene riportato un abbattimento al 10% dello sforzo evacuativo, una riduzione dell’incompleta evacuazione dall’84% al 5%, la scomparsa di digitazione e di blocco evacuativo, la riduzione dell’incontinenza anale dal 18 al 2%, senza dispareunia. Se i risultati sembrano buoni, occorre pesare le possibili complicanze alle quali questo tipo di associazione espone, la più temibile delle quali è la fistola retto-vaginale (un caso nella casistica in questione).
Al di là dei numeri, l’impressione è quella di un’esperienza estremamente positiva sia per le pazienti che per il reciproco arricchimento professionale tra chirurgo colo-rettale e ginecologo. L’atteggiamento prudenziale di scindere i due tempi chirurgici trova comunque ragion d’essere in due motivazioni: una, di tipo più accademico, rappresentata dalla necessità di limitare i fattori confondenti nel tentativo di studiare gli effetti di ogni singolo approccio chirurgico. L’altra, più clinica, rappresentata dal tentativo di non sommare, o addirittura potenziare la morbosità delle due procedure in una fase in cui ancora manca chiarezza sui risultati di questa chirurgia.

CHIRURGIA RICOSTRUTTIVA VAGINALE DEL COLPOCELE POSTERIORE IN PRESENZA DI DEFECAZIONE OSTRUITA (J.O.L. DeLancey, M. Karram, R. Milani, M. Cervigni, A. Emmanuel, R. Villani, D. Altomare)

Il filo conduttore tra tutti gli argomenti trattati è rappresentato la scarsità di informazioni scientifiche di qualità. Esiste la necessità di approfondire il ruolo dell’enterocele nella patogenesi della difficoltà evacuativa della donna con colpocele posteriore associato e l’esigenza di confrontare le tecniche chirurgiche più recenti, con la chirurgia tradizionale. Resta vago il ruolo fisiopatogenetico dell’associazione del difetto anatomico vaginale con il disturbo funzionale della defecazione. La terminologia estremamente variegata adottata indica la mancanza di una classificazione condivisa delle condizioni cliniche e del work-up diagnostico. Si impone la necessità di una standardizzazione che riguardi prima di tutto il linguaggio e la terminologia.


(*) Servizio di Uroginecologia, U.O. Ostetricia e Ginecologia, Ospedale S. Carlo Borromeo, Milano

(**) Cattedra di Ostetricia e Ginecologia, Università di Milano Bicocca, U.O. di Ginecologia Clinica, Ospedale Bassini, Cinisello B.

(1) Sintesi delle relazioni presentate nel Congresso Internazionale sul Colpocele Posteriore, Cinisello Balsamo (Milano), 29-30 Giugno 2006.