Storie di donne, sessualità ed emozioni
Stella De Chino
Fisioterapista e formatrice, Schio (Vicenza)Ho sempre amato le storie. In particolare le storie di vita.
Ho sempre condiviso le emozioni, mie e altrui. Diventare
fisioterapista ha significato per me “allenarmi” al distacco.
Mi era stato detto che non era professionale coinvolgersi e
che farsi “contagiare” dal paziente e dai suoi vissuti era
controproducente.
Così ho fatto per alcuni anni... o forse ho finto di fare.
Spesso faceva capolino un fremito di gioia quando incontravo
il sorriso di un paziente o di malinconia se lo vedevo
abbandonare il suo percorso. Ma consideravo tutto questo
marginale rispetto al mio lavoro.
Ho letto anni fa che nello sciamanesimo africano chi cura
è stato prima colpito dal demone della malattia che cura,
detto “margai”. Ho avuto conferma della giustezza di tale
pensiero sulla mia pelle…
Un parto un po’ “violento” mi ha spinta a diventare terapeuta
di me stessa e ad interessarmi di riabilitazione uroginecologica.
Ho compreso che il mio processo di recupero si
intersecava con la mia storia di vita, con le mie emozioni
vissute e represse, con i miei amori e le mie esperienze sessuali.
Mi sono resa conto che il mio “sentire” contava eccome
e che comprendevo ora in modo diverso le problematiche
femminili e che la mia naturale estroversione poteva essere
uno strumento di incontro e non un limite.
La mia formazione in ambito pedagogico è stata in tal
senso di grande aiuto. La laurea in Scienze dell’Educazione
ad indirizzo extrascolastico mi aveva aperto porte che solo
in seguito si sono rivelate utilissime. Nella ricerca qualitativa
ho trovato infatti strumenti essenziali per penetrare il
mondo femminile: l’osservazione partecipante, il diario riflessivo
e gli scritti autobiografici.
E così ho iniziato a scrivere e a far narrare storie. Ho usato
la scrittura per fare ricerca e per curare. La narrazione
esistenziale è uno strumento pedagogico e terapeutico unico.
Narrare di sé infatti implica “prendersi a cuore” la propria
storia, guardarla con coinvolgimento e distacco allo
stesso tempo… coinvolgersi per le emozioni che porta a
galla il ricordare, mantenersi distaccati per il processo riflessivo
proprio della scrittura.
Iniziamo questa rubrica con due casi o meglio con due
storie di vita. La prima riguarda una donna con dispareunia
e atrofia vulvare ed è stata scritta da me. La seconda invece
è una testimonianza di una paziente di 35 anni che soffriva
di impenetrabilità ed incontinenza: la giovane donna narra
come sia uscita da entrambe le problematiche grazie ad un
percorso di ascolto delle sue tensioni e di scoperta del suo
corpo anche attraverso l’autoerotismo. “Raccontare è iniziare a guarire”.
TERESA: ADOLESCENTE A 70 ANNI!
Teresa entra nel mio studio con la sicurezza e la determinazione
che una donna manifesta quando tiene molto ad una
cosa. È morbida e intensa. Occhi azzurri e vivaci, un seno
prosperoso e tanta grinta nel tono di voce. Ve lo ce men te mi
narra che da quasi 10 anni non ha più rapporti con il marito
a causa di un dolore che è diventato via via insopportabile.
Racconta che ora dormono in stanze separate ma che a lei
dispiace per lui perché la ama e non si merita tutto questo.
Le donne spesso vivono l’astinenza più come un peso per
il partner che non per se stesse e questo l’ho sempre considerato
un movente un po’ inconsistente per una buona guarigione.
Ma Teresa sta per dimostrarmi che non è così.
La visito e riscontro un’infiammazione del vestibolo ma
soprattutto un’atrofia vaginale: per dirla semplice la vagina
sì è ristretta ed irrigidita a causa della mancanza di rapporti.
Da dove partire?
Parliamo un po’ e decidiamo di lavorare insieme per “conoscere”
un po’ meglio questa parte del corpo fonte di tanti
dolori. Le insegno una forma di automassaggio per aiutarla
a prendere confidenza con la zona dolente ed infiammata
e le consiglio di iniziare ad usare un piccolo “ovetto”,
un cono vaginale per inserirlo in vagina all’apertura e far si
che si allarghi un po’.
Oltre ad indicarle piccoli accorgimenti per rendere l’area
più lubrificata e morbida la invito a parlarne anche con il
marito e a coinvolgerlo nel suo cammino di scoperta.
Ritorna dopo un paio di settimane già notevolmente cambiata.
È decisamente meno rigida sia fisicamente che mentalmente.
Parlando sondo un po’ il rapporto fra Teresa e il piacere
e mi rivela di aver sempre avuto emozioni controverse:
curiosità da un lato e senso di colpa dall’altro. Mi dice: “mio
marito è molto più aperto di me, ma io ho delle resistenze a
lasciarmi andare al piacere”. Una forma di bisogno di “controllare”
la situazione sembra frenarla…le chiedo se le va di
venire con il marito la volta successiva per affrontare anche
questo tema. Ed è così che giungono insieme nel mio studio.
Mi emoziono sempre quando devo seguire delle coppie: una
sorta di stupore e rispetto mi fa sentire “onorata” dallo schiudersi
a me di un universo tanto delicato ed intimo. Il mio non
è il ruolo della sessuologa che dà consigli ma mi considero
una sorta di “levatrice” del piacere: mi intriga pensare di poter
aiutare le persone a riscoprire l’amore fisico.
Li osservo: sono simili di corporatura e movenze. Lui più
quieto di lei, ma con lo stesso sguardo vivace. Spiego al
marito, che da ora chiameremo Paolo, che sarebbe bello
che la aiutasse a scoprire meglio quella parte del suo corpo
e consiglio ad entrambi di leggere il libro “IL PUNTO G”
degli Zadra (una coppia che si occupa di tantra).
Li invito inoltre ad andare a acquistare le “palline dell’amore”,
una sorta di gadget erotico che a noi serve per distendere
ed ammorbidire ulteriormente la zona vaginale.
Con mia sorpresa si dimostrano molto aperti e disponibili
a proseguire nella ricerca.
Li rivedo sempre dopo un paio di settimane ma stavolta
c’è un po’ di tensione: lei dice che lui le ha fatto il massaggio
troppo frettolosamente e ha letto “poco” il libro, lui nega
e si punzecchiano a vicenda. Ci sono abituata…so che
non sono percorsi facili soprattutto all’inizio.
Con molta naturalezza mi ritrovo a dire delle cose che direbbe
un’amica di famiglia...“vedi Teresa, è comprensibile che lui
dopo anni di rifiuti si senta un po’ ferito… ma tu Paolo…devi
avere enorme cura e delicatezza…pensa che la sua paura del
dolore è REALE come reale è sempre stato il suo dolore. Non
aver fretta di penetrarla e soffermati con quella tenerezza che
tanto le manca…lo sai che mi ha detto che l’ultimo bacio glielo
hai dato tre anni fa nell’occasione della morte di un parente?”...
Sorride... e capisco che ha capito.
Stern, uno psicologo di fama, sostiene che ci sono attimi,
in un percorso di cura, in cui uno sguardo, una stretta di
mano, una parola, sembrano esprimere “lo so che tu sai che
io so” e in quel momento io lo percepisco con entrambi.
Una sorta di complicità oltre l’alleanza terapeutica, che riguarda
il lato “umano” di ognuno di noi tre.
Escono e penso che qualcosa di bello sta per accadere.
La volta dopo lei torna da sola: sorride soddisfatta. Fi nal -
mente... dopo anni... hanno fatto l’amore! Mi dice che non
ha sentito dolore però il giorno dopo le è venuta una cistite.
“Cistite da luna di miele” le dico... dopo tanto tempo l’afflusso
di sangue hai tessuti e lo sfregamento può provocarla.
Le dò dei consigli fitoterapici e la invito a tornare un’ultima
volta con il marito.
Ed eccoci alla scena finale: sornioni entrano nel mio studio.
Teresa con fierezza mi guarda e dice “Stavolta tutto bene…
nessun dolore né durante né dopo”...guardo lui e mi
sembra uno che ha vinto tre lotterie, dentro di me e fuori di
me esulto per loro! Alla faccia del distacco li abbraccio entrambi.
Parliamo un po’ poi prima di uscire Teresa mi guarda
con malizia e mi dice “Però ora... vorrei provare più piacere…
mi sento adolescente a settant’anni!” .
L’AUTOBIOGRAFIA COME STRUMENTO DI CURA:
ROBERTA RACCONTA SE STESSA
Roberta, 35 anni, soffriva da alcuni anni di dolore ai
rapporti (mai completi) e incontinenza. Non presentava
ipotonia ma anzi un quadro di contrazione del terzo esterno
della vagina. La narrazione che segue descrive le due
fasi del suo percorso di auto guarigione: la prima è stata
scritta dopo le prima 4 sedute di riabilitazione e la seconda
alla fine del percorso.
«Il mio era un problema di incontinenza e, da un punto di
vista sessuale, impenetrabilità.
Ero comunque determinata a risolvere la situazione evitando
(o posticipando se inevitabile) l’ausilio di salva-slip più o meno
profumati e più o meno indicati allo scopo. Ho notato dei
decisi miglioramenti al mio problema di incontinenza con
l’uso del cono vaginale e i trattamenti urogenitali. Già dalla
prima seduta, e dai primi usi del cono a casa, sono quasi scomparse
le perdite giornaliere. Sono diventata più responsabile
nell’andare in bagno più frequentemente durante la giornata
così da evitare l’anestesia allo stimolo a cui ero soggetta.
Permane ancora un’incontinenza notturna che noto quando mi
alzo alle primissime luci del giorno per andare in bagno. So -
litamente uso il cono prima di andare a letto e mi ha sorpreso
molto il cambiamento della qualità del sonno (molto più profondo
e riposante) che ho avuto le prime sere di trattamento.
Nonostante la lubrificazione del cono, il suo inserimento, e
l’estrazione poi, risultano per me le fasi più delicate e fastidiose.
Una volta in sede, e per la durata del trattamento, diventa
una presenza piacevole. A cono inserito, la vocalizzazione
“AUM” mi permette di consapevolizzare il movimento
della vagina. Mi sono resa conto che, nel vocalizzo della “A”
la vagina non solo si apre ma l’apertura ha una direzione verso
l’esterno. Su indicazione della fisioterapista ho prestato
particolare attenzione alla vocalizzazione della “U” perchè,
durante il trattamento in studio, risultava la fase meno sensibile
in cui quasi perdevo la percezione. A livello anatomico
credo corrisponda proprio alla zona in cui era concentrata la
maggior parte della tensione. Ora, quando vocalizzo la “U”,
non solo percepisco il cambiamento di direzione nel movimento
di quel tratto di vagina, ma riesco anche a sentire il
profilo centrale del cono.
SOLO attraverso la mediazione data dall’incontro intimo con
l’altro sesso (confesso che l’idea di autoesplorarmi penetrandomi
con le mie dita un po’ mi di so rien ta va)... cosa curiosa:
nel frattempo nella mia vita non si presentavano incontri particolarmente
speciali dove potesse avvenire la “mediazione”
tanto sperata. Nell’affrontare il problema “incontinenza”
(seppur lieve) ho dovuto assumermi innanzitutto la responsabilità
di creare io stessa una re la zio ne/dialogo con la mia zona
perineale e non delegare questo a qualcosa al di fuori di
me (un uomo o un rapporto sessuale).
L’uso del cono mi ha portato in una prima fase a prendere
consapevolezza della tensione presente in zona perineale, di
affrontarla successivamente, arrivando a posizionare il cono
proprio nella zona in cui si concentrava la tensione (inizio
della vagina). L’aggiunta di questo strumento mi ha portato a
ottimizzare anche l’efficacia del vocalizzo... l’iden tificazione
della tensione, la sua localizzazione e la determinazione ad
affrontarla lavorandoci con il cono in sede, è stato un processo
che è andato avanti di pari passo con la dimensione emotiva:
dove ho dovuto mettermi faccia a faccia con una serie di
paure (del dolore fisico, di non essere rispettata se esprimevo
i miei bisogni, del lasciarsi andare, del rimanere incinta, del
fidarsi di dimensioni “sagge” di noi che non si esprimono
con il linguaggio della logica,...). Curioso che proprio in questa
fase di “assunzione di responsabilità” nel voler affrontare
le mie paure mi arrivi una telefonata da molto lontano in seguito
alla quale è avvenuto un incontro “molto” speciale.
L’incontro con l’altro: devo dire che a questo punto c’è
stata una nuova rivoluzione copernicana dentro di me riguardo
le mie credenze e le mie certezze in ciò che ha a che
fare con le relazioni di coppia. Mi si è presentata infatti la
possibilità di incontrare un uomo al di fuori delle mie aspettative.
Non la chiamo “relazione” in quanto non ha niente a
che vedere con una sorta di progettualità di coppia, un voler
costruire un “noi” da consolidare in una qualche etichetta
ecc.. e la cosa che mi ha sorpreso di più è stata il rendermi
conto che proprio questo per me, nella maniera in cui la
sto vivendo, sia veramente ciò di cui ho bisogno ora. Non
sarei in grado infatti in questo momento di appesantire questa
fase veramente esplorativa di nuove dimensioni di me
(fisiche ed emotivamente ancora tanto cariche) con l’impegno
di dare una direzione ben precisa (e rientrante in canoni
convenzionali) al senso di quello che viene condiviso fra
me e questa altra persona.
Superata l’impenetrabilità, da un punto di vista fisico, i
rapporti sessuali, conservavano la presenza di tensione nella
parte iniziale della vagina e nella parte alta verso il collo
dell’utero che si è allentata piano piano col tempo.
L’uso del vibratore: confesso che avevo sempre considerato
il vibratore un aggeggio per gente particolare e quindi non certo
un acquisto da fare! Devo dire che, invece, si tratta di uno
strumento che mi ha permesso un processo graduale di consapevolezza,
rilassamento e sensibilizzazione di tutta la vagina.
Ora riesco a riconoscere e sentire persino la zona spugnosa sul
tetto del canale vaginale che precede e contiene il punto G e
raggiungo l’orgasmo anche durante il rapporto sessuale.
Per approfondire:
- Peter Alheit, Stefania Bergamini, 1996, Storie di vita, Guerini studio.
- Laura Formentini, 2001, La formazione autobiografica, Guerini Studio.
- Byron J. Gold, 2002, Narrare la malattia. Lo sguardo antropologico sul rapporto medico- paziente, Edizioni di comunità.
STELLA DE CHINO
Via Righi 32 Schio (VI)
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